La storia
L’etimologia
Il toponimo rimanda alle certe origini romane della località, che a quell’epoca era chiamata ad tertium lapidem, a significare la terza pietra miliare da Aquileia ed a connotare lo stretto legame che il paese ebbe con la nascita e lo sviluppo della vicina colonia romana.
Per la propria posizione di approdo terrestre ad Aquileia, Terzo svolse un ruolo cruciale nella definizione viaria ed urbanistica del territorio, definizione i cui segni sono tuttora evidenti, in funzione della suddivisione fondiaria dei terreni con criteri di razionalità e programmazione e della costruzione di una rete stradale per le esigenze di comunicazione tanto di tipo militare quanto di tipo commerciale.
La suddivisione fondiaria del territorio della colonia aquileiese venne impostata con il criterio della centuriazione, per cui l’ager divisus et adsignatus – ovvero il lotto di terreno affidato al colono – era formato da lotti quadrati o rettangolari e gli appezzamenti interni al fondo erano distribuiti con un ordine congruo all’andamento dei confini. Tale suddivisione comportava la distribuzione lungo i margini dell’area centuriata delle costruzioni rurali e degli altri elementi socio-economici della civiltà dell’epoca, in modo che non arrecassero alcun disturbo a tale ordinamento.
Cardo e decumanus.
Questa suddivisione agraria si basava sulla definizione di alcuni assi che venivano individuati dai gromatici, ovvero i geometri e gli agrimensori del tempo: il cardo maximus (cardine principale) era l’asse principale della centuriazione orientato nord-sud e partiva dal centro di Aquileia passando per Terzo.
Il suo corrispondente ortogonale era il decumanus maximus (decumano principale) orientato est-ovest.
Paralleli a questi e posti a distanze prestabilite erano i cardini e decumani minori, che – incrociandosi – formavano un grande reticolo e determinavano così la fortuna delle aceptae – dei lotti di terra da assegnare ai coloni.
Le vie romane.
Terzo si trovava nella parte terminale di questo reticolo, che si chiudeva ad imbuto verso Aquileia ed il mare, facendo convergere sul suo territorio il passaggio delle genti e delle merci che provenivano dalle arterie che collegavano il territorio al resto della penisola ed all’europa centro-orientale:
- la via Postumia, che partiva da Genova – la latina Genua – per spingersi verso l’Istria;
- la via Annia che partiva da Adria congiungendosi con la Flaminia e con l’Emilia che giungevano da Roma;
- la via Julia Augusta, che portava verso il Norico ed il nord;
- la strada di Aquileia che portava a Cividale (tuttora chiamata in friulano strade Dolee);
- la via Gemina, che portava verso l’Illiria, verso l’antica Emona (Lubiana) e l’est, divaricandosi dalla Julia Augusta proprio in corrispondenza di un ponte sul fiume di Terzo.
Stationes, mansiones et mutationes.
Ed è probabile che proprio in corrispondenza di questo bivio si sia sviluppata allora una statio, una delle stazioni del periodo romano, costruzioni in legno con il tetto in paglia, poste a distanze prestabilite oppure presso incroci, ponti, guadi, valichi, che rispondevano alle esigenze dei trasporti di quel tempo.
Le stationes dedicate unicamente al cambio dei cavalli erano chiamate mutationes e servivano principalmente al cambio degli animali utilizzati dal cursus publicus, il servizio di posta pubblico, oppure dal cursus velox, il servizio di vetture leggere e veloci per il trasporto dei viaggiatori, oppure ancora dal cursus clablarius, il servizio per il trasporto delle merci pesanti. Avevano stalle che potevano contenere sino ad una quarantina di animali ed erano poste di norma ad intervalli di sette o dieci miglia sui tragitti più frequentati, di dodici miglia nelle zone meno abitate.
Ogni sei-otto mutationes sorgevano le stationes dedicate al riposo ed al ristoro dei viaggiatori, chiamate mansiones, dove si poteva pernottare e mangiare qualcosa e presso le quali si sviluppavano attività commerciali in capanne o tettoie e sorgevano piccoli luoghi di culto.
Nel caso di Terzo, considerato l’afflusso di viaggiatori che giungevano ad Aquileia, una delle più grandi metropoli dell’epoca romana con oltre 200.000 abitanti, si può ipotizzare una serie di mansiones e di mutationes, oltre che a taverne per gli ospiti e capanne per gli abitanti.
San Martino.
Nei pressi di Terzo d’Aquileia si trova la frazione del borgo di San Martino, il cui toponimo deriva dalla chiesa parrocchiale dedicata al santo, molto venerato nel territorio delle Terre di Aquileia ed a cui sono dedicate molte chiese, molte immagini sacre ed alcune feste.
Ma perché san Martino è qui così importante?
Bisogna innanzitutto dire che la sua ricorrenza è stata fissata dal calendario cattolico il giorno dell’11 novembre.
E questa data ci riporta alla tradizione celtica del Samuin, le cui spoglie permangono nella tradizione cristiana di Ognissanti e del giorno dei morti, ai primi di novembre.
La grande festa del Samuin, del capodanno celtico, si concludeva dopo dieci giorni: l’undici novembre, il nostro giorno di San Martino.
Ancora oggi in friulano si usa dire “fà San Martin” per i traslochi e gli spostamenti di abitazione o di attività, a ricordo di un tempo in cui a San Martino cominciavano tutte le attività principali, si firmavano o rinnovavano i contratti agrari, si pagavano rendite ed affitti, o si traslocava… in sostanza cominciava un nuovo anno.
La festa di San Martino.
E perché la festa di San Martino di Tours è così importante, tanto da essere celebrata ancora oggi in molte località europe
La risposta è contenuta nelle origini del culto di questo santo dalla mantella tagliata, indumento divenuto una sorta di palladio nazionale in Francia: conservata nella chapelle reale, così chiamata perché custodiva la celebre chape – la cappa del santo. Così anche il termine cappellano – chapelain -, che indicava il custode della cappa di San Martino, è derivato dal culto di questo santo vissuto nel IV secolo, nato nel 316 nella Pannonia inferiore, l’attuale Ungheria, divenuto nel medioevo il santo più popolare dell’Europa occidentale, patrono della gente di chiesa, dei soldati, dei viaggiatori e dei cavalieri, degli osti e dei vignaioli.
Si deve sapere, infatti, che la religione celtica venerava un dio cavaliere, di cui rimane traccia nella tradizione orale del territorio, che portava una corta mantellina nera e cavalcava un cavallo nero: il culto proveniva proprio dalla Pannonia meridionale, terra celtica per antonomasia e patria di Martino.
Questo cavaliere era considerato il cavaliere del mondo infero, colui che vinceva gli inferi in sella al suo cavallo nero, colui che trionfava sulla morte. Era il dio della vegetazione che superava la morte attraverso la morte e dunque era garante del rinnovamento della natura dopo la morte invernale.
A testimonianza di questa origine, va segnalato il fatto che nell’iconografia San Martino è spesso accompagnato da un’oca: e l’oca era animale sacro ai Celti in quanto simbolo del Messaggero dell’Altro Mondo: oche addomesticate, sacre ed intoccabili accompagnavano i pellegrini ai vari santuari. Più tardi, in epoca cristiana, una palma d’oca sarebbe stata dipinta sul petto degli artigiani nomadi dell’Ancien Régime. E che altro è la conchiglia dei pellegrini di Santiago de Compostela, antico santuario celtico, se non la stilizzazione di quella palma? Con tutti questi riferimenti, il pensiero va subito alle feste tradizionali che costellano il mese di novembre delle Terre di Aquileia, dove l’oca (o altro pennuto ad essa sostituitosi con l’evolversi dei tempi ed il mutare delle situazioni) è la protagonista, rimembranza di antiche ritualità.